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La protagonista vede attraverso superfici riflettenti, specchi, vetrine, finestre, bicchieri, schermi e finestrini, frammenti di vita propria e altrui. Un viaggio, a volte oniroide, in cui si ritroverà e si perderà altrettanto spesso scoprendo che questo è il suo unico modo per adattarsi all'esistenza. Il prima e il dopo è segnato dal terremoto in cui precipita una costellazione di episodi dell'infanzia e di vite spezzate. Piccoli eroismi della normalità che si confrontano con una follia addomesticata, urbana e un senso del profondo e del superiore. I luoghi privilegiati sono una panchina di fronte ad un bar, la poltrona di un mercatino, il sedile di un trenino tutti rivolti verso un vetro come riflesso e sguardo oltre. Il luogo per eccellenza rimane, comunque, la profondità dell'individuo che si racconta le storie quotidiane della vita con una sensorialità rivisitata continuamente nella ricerca del senso e del non senso. Verticalità e orizzontalità si incontrano nel punto cartesiano di una normalità accidentata. "Quante vite si sono accumulate sotto pelle. Il disturbo è la teatralizzazione delle anime taciute".